In piazza Castello, accanto alla prefettura, troneggia l’imponente monumento a Emanuele Filiberto, duca D’Aosta. Questa notte alla statua è stato affisso lo striscione “Colonialista e assassino”. Generale a capo della Terza Armata durante la prima guerra mondiale, fu tra i maggiori sostenitori dell’espansione coloniale ad est e della dittatura fascista. Suo figlio Amedeo diverrà vicerè d’Etiopia.
La targa di piazzale Adua è stata trasformata in “piazza vittime del colonialismo italiano”.
Nel giardino in centro alla piazza è comparsa la scritta “Nostra patria è il mondo intero”.
Chi si ricorda di Adua? Per tanti è solo un nome femminile, pochi sanno che è una città. Lì il primo marzo 1896 le truppe del generale Baratieri vennero sconfitte da quelle del Negus Menelik II: l’espansione coloniale del regno d’Italia in Africa orientale subì una battuta d’arresto. La città verrà riconquistata nel 1935, durante le prime fasi dell’invasione dell’Etiopia. Da quel momento molte strade verranno intitolate ad Adua, divenuta simbolo del riscatto militare italiano. Tante bambine vennero chiamate così. Una scelta ambigua, che celebra i fasti della virilità guerriera dei soldati, alludendo al destino segnato dello loro figlie, mogli e madri sottomesse.
Anche piazza Massaua e piazza Baldissera sono state rinominate e dedicate alle vittime del colonialismo italiano.
Massaua divenne la capitale della colonia Eritrea, dopo l’occupazione militare italiana del 1885.
Antonio Baldissera, generale del regio esercito italiano, si distinse nella repressione in Eritrea.
«Sperimentata inutile l’indulgenza era necessario mutar sistema; dimostrare il divario che passa tra la tolleranza e la debolezza. Era necessario incutere terrore per tener soggetti quei barbari». Con queste parole il generale Baldissera giustificava l’eccidio di 800 persone.
Nella colonia Eritrea le torture più atroci e le fucilazioni di massa erano del tutto normali. Nell’ultimo ventennio del diciannovesimo secolo vennero costruiti sette campi di concentramento. Quello di Nocra, attivo dal 1887 al 1941 fu il peggiore.
La pratica di abbattere, coprire o colorare statue, di modificare la toponomastica diviene oggi lo strumento di ricostruzione di una memoria collettiva colonizzata dalla rassicurante favola degli italiani brava gente.
Azioni che disinnescano i simboli concreti di una storia, di cui sono le sentinelle di marmo, bronzo, pietra.
Oggi quelle azioni non parlano al passato, ma decostruiscono il presente.
L’Italia non ha mai fatto i conti con il proprio retaggio coloniale. La lunga amnesia che circonda “l’avventura” coloniale italiana investe le strade, i monumenti, persino i trofei di un colonialismo feroce, che pur dissepolto dall’oblio dagli studi storici degli ultimi decenni, resta negletto nella memoria collettiva.
Il mito degli “italiani brava gente” è una terribile forma di negazionismo. I massacri, le torture, i campi di concentramento, l’uso di gas sulla popolazione civile sono stati negati o dimenticati.
Il razzismo riemerge e permea di se parte della società, perché la cesura della memoria rende gli orrori coloniali inattingibili.
Il retaggio coloniale, mai risolto, riemerge ed alimenta la propaganda leghista e fascista contro la gente in viaggio dai tanti luoghi dove le mappe sono ancora quelle di una spoliazione che continua in altre forme.
Quante volte la polizia ha assalito gruppi sociali e politici considerati “pericolosi” perché poveri, razzializzati o radicalmente critici verso un sistema sociale feroce?
La violenza sistematica della polizia nei commissariati, per le strade, nei centri di detenzione per migranti raramente affiora nei media main stream. Resta patrimonio di una narrazione sotterranea, che vive sulle panchine dei giardinetti di periferia, nei margini senza eco del web.
Quando ci scappa il morto, la vittima viene criminalizzata e i suoi assassini coperti da polizia e magistratura. Solo qualche falla nella macchina rompe il meccanismo.
Le morti nei CPR, la cui lista si è allungata negli anni, sono state affrettatamente archiviate.
Chi si ricorda del tunisino Fathi, lasciato morire nel CIE di Torino nel maggio 2008? Chi si ricorda di Vakhtang, ammazzato di botte nel CPR di Gradisca lo scorso 18 gennaio?
Nei ghetti dei braccianti/schiavi di Rosarno, Rignano, Saluzzo la polizia agisce come nei ghetti metropolitani degli States. A Rosarno i braccianti sono stati pestati ed uccisi dalle mafie dell’agroalimentare, al servizio dei padroni e protette dalla polizia.
La responsabilità è di chi ha scritto le leggi che danno il permesso di soggiorno solo a chi ha un contratto. I migranti senza carte diventano schiavi ricattabili, sottoposti ad infiniti soprusi e violenze. Se qualcuno alza la testa finisce ammazzato a colpi di doppietta. Nel 2018 a Rosarno sono morti così Sacko Soumayla, Madiheri Drame e Madoufoune Fofana.
Le migrazioni attraverso il canale di Sicilia sono costate decine di migliaia di morti. Le stragi nel Mediterraneo sono state pianificate dai governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni.
Le frontiere chiuse ai migranti, gli accordi scellerati con la Libia, la criminalizzazione dei volontari che soccorrono i naufraghi sono i tasselli di un puzzle, disegnato a Roma ed affidato ai governanti libici e alle loro bande di predoni.
La legislazione contro i poveri, le ordinanze antibivacco, gli sgomberi delle case occupate, sono parte di un dispositivo costruito per isolare e mettere sotto ricatto i lavoratori migranti.
I pacchetti sicurezza, ulteriore tassello di un meccanismo costruito per colpire la gente in viaggio, gli oppositori politici, la pratica dell’occupazione, voluti dal governo giallo-verde, non saranno cancellati da quello giallo-rosa.
In Italia i militari, promossi a poliziotti durante la pandemia, oggi sono a Saluzzo per controllare, deportare e reprimere i braccianti che arrivano per la raccolta.
A Torino hanno stretto in una morsa le strade di Aurora e Barriera, quartieri dove la povertà, la precarietà, la difficoltà a mettere qualcosa in tavola, a pagare i fitti e le bollette, già forte, è aumentata durante il lockdown.
La necessità di circolazione delle merci e delle persone, insita nella logica capitalista, ha imposto la fine del lockdown, ma non la fine dei divieti e della militarizzazione. Anzi. Non sono consentiti cortei, ma è permessa la movida, è vietato fare sciopero, ma sono consentite le messe.
Il governo si prende pieni poteri e utilizza strumenti fuori dall’ordinario. Strumenti, che, anche “dopo” restano, sino a divenire normali.
Questa “normalità” è intollerabile.”
Federazione Anarchica Torinese – FAI
Corso Palermo 46 – riunioni ogni martedì alle 21
Contatti: fai_torino@autistici.org – https://www.facebook.com/senzafrontiere.to/